da mole24
Il giallo della “Bela Rinin” iniziò il 2 ottobre del
1925, quando il percorso del treno da Verolengo verso Torino si arrestò
per uno scambio. Nella sosta al bivio della Crocetta uno dei
macchinisti scorse un pacco dal quale usciva un piede. Una volta aperto
ci si accorse che conteneva anche due gambe femminili. La donna venne
identificata presto. Il suo nome era Erina Barbero, una prostituta che
operava tra via Saluzzo e via Berthollet e che le sue “colleghe”
chiamavano appunto Rinin.
Il riconoscimento avvenne ad opera del marito di
lei, Francesco Cattaneo. Questi era uno spacciatore senza una dimora
fissa e in quel periodo abitava con Erina nella stanza 8 dell’hotel Gran
Cairo, luogo che vedeva il viavai di vari criminali e malavitosi.
L’albergo che si trovava tra via S. Teresa e la vecchia Via Roma
scomparve con la ricostruzione dell’intera via per la riqualifica che
sarebbe avvenuta qualche anno dopo. I sospetti ricaddero subito su
Cattaneo che venne arrestato ed una volta interrogato fornì alibi
discordanti. Non passò molto che si rinvenne il secondo pacco.
Un bambino lo scorse in via Antonori, strada che
collega via Massena e corso Re Umberto. Nell’involto si trovarono
soltanto il tronco e le braccia. Era ovvio che esistesse un terzo pacco
contenete la testa. Il fatto che i due ritrovamenti fossero avvenuti
nella stessa zona faceva pensare che il terzo non potesse distare molto.
Gli interrogatori del Cattaneo continuavano e, tra le contraddizioni e i
vari nomi di hotel nei quali diceva di aver dormito, spuntò più volte
il nome di Ludovico Bertini, inseparabile amico dell’accusato. Si
suppose che il delitto fosse stato addirittura compiuto il 30 settembre.
Il giorno prima difatti Rinin aveva chiesto 20 lire in prestito alla
proprietaria dell’hotel Castagnole, dove soggiornava, lasciando in pegno
la sua borsetta. Si era detta molto preoccupata e aveva bisogno di
denaro. Si fece chiarezza quando una testimone raccontò quanto Erina le
aveva confidato. La giovane aveva paura che il marito volesse ucciderla.
Lei difatti era la sola a sapere che Cattaneo era l’omicida di Leopold
Fleishmann. Nel 1925, dieci mesi prima, Fleishmann era stato ucciso
nella “Stra dij Mort”, che si trova in collina poco dopo il ponte
Isabella. La donna era stata testimone oculare di quell’omicidio e aveva
minacciato di informare i carabinieri.
La vittima austriaca era un altro balordo, un
trafficante di cocaina. Rinin era stata uccisa per difendere quindi un
altro omicidio. Il terzo pacco arrivò inesorabilmente a vedere la luce.
Venne rinvenuto in un tratto fangoso che oggi corrisponde al lungo Po
Antonelli. Due manovali trovarono l’involucro contenuto in una copia
della Gazzetta del Popolo datata 1 ottobre. La vista della testa di
Rinin con gli occhi socchiusi fu ovviamente terrificante. Finalmente si
fece chiarezza sul mistero: spuntò un testimone del delitto. Il facchino
dell’albergo Gran Cairo aveva affermato che il crimine aveva avuto
luogo nella camera 8 del suo hotel.
Lì Rinin era stata dapprima uccisa e poi fatta a
pezzi. Cattaneo era il colpevole, ma si era avvalso di due complici tra
cui il Bertini ed un terzo che purtroppo rimase per sempre senza un
volto. Il facchino, che si chiamava Matteo Biestra, li aveva scorti
intenti a trafficare con quei terribili pacchi portando nella camera una
coperta. I tre, che erano senza scarpe ovviamente per non fare rumore,
gli si avventarono addosso e lo minacciarono di morte nel caso avesse
parlato. Il processo che ne conseguì ebbe luogo a metà Febbraio del
1927. Alla corte di Assise di Torino giunse un pubblico enorme, sia di
cittadini che di giornalisti. Cattaneo fu trovato colpevole e condannato
a trent’anni, mentre il suo complice Bertini soltanto a cinque. Il
terzo complice la fece franca e per Rinin si fece giustizia solo per
metà.
Michele Albera
Michele Albera
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